«Luca Cereda via da Ambrì? Spero il più tardi possibile»

FESCOGGIA - Giocatori, allenatore e dirigenti contano tantissimo, ma la vera ricchezza di un club sono i tifosi. Come il 51enne dell’Alto Malcantone Andrea Frank, che considera l’Ambrì parte della sua famiglia.

«L’Ambrì è quasi la mia seconda casa. Soprattutto ora che, da volontario, alla Gottardo Arena faccio un’attività legata all’accoglienza ospiti per le lounge. Siamo partiti dieci anni fa alla Valascia con tre tavoli… Per quanto riguarda l’affetto: tutto è cominciato nel 1979, in un Ambrì-Coira 7-3 di LNB. Dopo grande insistenza convinsi mio papà a portarmi alla pista. In quell’occasione fui testimone di un check alla balaustra, anzi, alla palizzata di legno, di Rudolf Tajcnar, che praticamente mi alitò addosso. Non mi sono mai dimenticato quel momento. Da allora tutto è stato biancoblù. Ora porto le mie figlie».

C'è un giocatore che ruberesti - o se del passato avresti rubato - ai cugini?

«A dire il vero no. O meglio, più che un giocatore ruberei un episodio. Penso ancora a quel tiro da metà pista di Antisin, che Jaks si fece sfuggire in mezzo alle gambe. Era gara-3 della finale del 1999 e cambiò tutto. Non fosse entrato quel gol la storia sarebbe stata diversa: ci sarebbe stato scritto “Ambrì” sull’albo d’oro».

Come valuti il momento attuale?

«Penso che si stia cercando, con tutte le forze, di non ripetere gli errori delle scorse annate. Quei passaggi a vuoto, soprattutto autunnali, che hanno poi spesso condizionato il resto della stagione».

Cosa pensi dell’allenatore?

«Ho grande stima di Luca Cereda e, davvero, mi fa male quando viene criticato. Non lo difendo a spada tratta, a volte anche io, per esempio, ho letto con sorpresa le linee schierate. Sono però sicuro che ogni scelta fatta abbia una motivazione. Con Duca, vive totalmente il mondo biancoblù: è nello spogliatoio, è agli allenamenti, sa tutto e in base a ciò prende una decisione. Chi sta fuori non è al corrente di tutte le sfumature. Poi, non da meno, insieme con Paolo è davvero legato al club, ne è una figura identificativa. C’è un aspetto emozionale che non può non essere considerato. Quanti prima di lui avevano davvero a cuore la società? Lefley forse. Huras. Non me ne vengono in mente altri. Ecco, chi lo attacca dovrebbe pensare anche a ciò. Quando se ne andrà Cereda, e spero il più tardi possibile, arriverà un “semplice” professionista, uno di quelli che fa quello per cui è pagato, che timbra il cartellino, senza però davvero amare l’Ambrì».

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