Una pace difficile. «Il rischio per Gaza? Finire nelle mani di un palazzinaro come Trump»

Il politologo Gianfranco Pasquino parla del piano di pace Trump e degli scenari futuri della Striscia: «I governanti autoritari di quell'area temono la stabilizzazione democratica a Gaza»
BOLOGNA - Buongiorno professor Pasquino, come sta?
«Purtroppo non sto bene, nel senso che sono un uomo molto anziano che cammina a fatica e con grande difficoltà e questo non mi rende per niente contento».
Contento invece dell'accordo per Gaza?
«L'unico accordo vero che c'è stato, con qualche sbavatura, è che Israele ha smesso di bombardare Gaza e i terroristi hanno rilasciato un certo numero di ostaggi e non ancora tutti quelli morti, con una scusa che è davvero raccapricciante. Non sanno neanche dove sono».
Beh, non le sembra una scusante vera? Gaza è una distesa di macerie...
«In parte è vero, ma dovevano dirlo subito però».
Nel piano di pace, Trump e la cordata araba sostengono la nascita di uno Stato palestinese. Lei su Paradoxa Forum scrive che i governanti autoritari degli altri sistemi politici medio-orientali - e fra i firmatari ve ne sono diversi direi - non vedrebbero però con favore la nascita nei loro dintorni di uno Stato democratico di Palestina. Mi spiega perché?».
«Perché metterebbe in evidenza che si può avere un altro tipo di situazione politica, che i cittadini possono eleggere i loro governanti, possono bocciarli, possono cercare di influenzare le politiche, possono partecipare liberamente. Cioè, assaggerebbero il sapore della democrazia e una democrazia consente molta libertà, e nella maggior parte dei Paesi che contornano Israele questa libertà non c'è».
Potere al popolo...o per dirla con il titolo del suo libro "In nome del popolo sovrano", un popolo che poi magari si ribella...
Esatto. Sì, è un po' la situazione della "Primavera araba", che naturalmente è stata poi schiacciata, perché ad esempio al-Sisi è uno di quelli che ha tratto vantaggio da quella situazione. Lui è uno di quelli tra l'altro, lei pensi, che non ci consente di avere i responsabili della morte di Regeni. E firma trattati di pace. Inqualificabile».
Mi soffermo ancora un attimo sul popolo: ha ricominciato a scendere in piazza. Ha visto che folle oceaniche? Che segnale è?
«È un segnale del fatto che le informazioni anche visive circolano e influenzano e quindi è un segnale di conformismo di alcuni settori sociali che vogliono dimostrarsi buoni, manifestare a favore della Palestina - come ha detto con grande sicumera un uomo di sinistra del mio Paese come Fratoianni - per stare "dalla parte giusta della storia", come se lui potesse decidere qual è la parte giusta della storia».
Mi sorprende che un uomo come lei che in passato è stato anche un senatore della Sinistra indipendente si trovi in disaccordo proprio con Fratoianni...
«Assolutamente, in maniera sostanziale».
Ma riconoscerà anche lei che alla Sinistra si è sempre rimproverato - le cito Nanni Moretti - di non dire più da tempo cose di sinistra: e adesso che le dice, non le va bene? Negli ultimi mesi, proprio sul macello di Gaza, quel mondo politico da cui lei proviene - vedi le sfuriate in Parlamento di Bonelli e dello stesso Fratoianni - si è fatto sentire, non le pare?».
«Si è fatto sentire, non sempre in maniera corretta ed efficace, ma lei pensa che qualcuno possa dire che sta dalla parte giusta della storia? Nessuno in realtà sta dalla parte giusta della storia».
Nemmeno il "popolo di naviganti" della Flotilla? Come l'ha vista quella spedizione?
«Debbo dirle la verità: l'ho vista con qualche perplessità. Qui però devo articolare bene il discorso, perché capisco certamente il tentativo generoso di dimostrare che c'erano centinaia di persone disposte a imbarcarsi per portare con sé i viveri e così via e dare un segnale ai rispettivi governi, questo lo capisco. Dopodiché, naturalmente, c'è anche un elemento di provocazione dicendo che i governi non sanno fare politica, che solo i cittadini, il popolo saprebbero fare politica. Vi ho trovato un elemento di provocazione, perché era chiaro che poi pretendevano di farsi aiutare dai governi che stavano criticando. Ho trovato questo molto brutto».
Faccio un passo indietro e ritorno su un punto del piano di pace per Gaza: la smilitarizzazione di Hamas. Lei crede che i suoi miliziani davvero deporranno tutte le armi e se ne andranno tranquillamente a rifarsi una vita a Sharm el-Sheik?
«No, non è affatto certo. Però è per questo che io sottolineo la necessità dello "State building", di costruire uno Stato, perché se si costruisce uno Stato vuol dire che naturalmente sarà l'autorità politica che controllerà le armi. Potrebbe anche dire "non consegnate le armi ma non fate nessuna attività militare».
Da quello che vediamo, tra esecuzioni pubbliche e regolamenti di conti, offrire ai terroristi di Hamas una tale prospettiva di assicurazione del mantenimento del proprio arsenale - cosa comunque che il piano Trump esclude in maniera categorica - significherebbe dare ancora meno consistenza alla possibilità della creazione di uno Stato palestinese: creazione che è un'esigenza dell'oggi, non di un medio o lungo termine come paventa il trattato. Non le pare?
«D'accordo con lei che quelle armi vengano consegnate adesso, subito. Che è una premessa anche quella. Su questo il piano non è così come dire imperativo e quindi ha qualche problema».
Lei l'ha capito qual è stato questo fantomatico ruolo attivo che l'Italia ha avuto in questo accordo? Avrà sentito no i meriti che la premier Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani si attribuiscono? In che modo, diciamo, l'Italia è intervenuta fattivamente, in concreto, nella stesura di questo piano?
«Questa è una domanda difficilissima perché naturalmente qui ci stanno le mie preferenze politiche. Sulla premier Meloni... secondo me ci prende largamente in giro, perché è molto brava, si fa vedere attiva sulla scena internazionale, fa le faccine con Trump e così via, anche se la fotografia nella quale lei sale sul palco, gli stringe la mano è molto rivelatrice, perché in realtà lei non vorrebbe fare questa scena, che è una scena di omaggio un po' servile e quindi si scherma, sorride in maniera un po' amara e così via. L'Italia l'unico ruolo che ha avuto, che può rivendicare, è di non aver riconosciuto lo Stato della Palestina e di aver detto "se Hamas la smette, noi iniziamo le procedure". Questo passo politico deve essere stato più vicino alle posizioni trumpiane di coloro che invece come Macron hanno riconosciuto la Palestina».
Palestina che non avrà molta voce in capitolo anche nella ricostruzione: lì sarà "real estate" a tutto campo, quello di Trump e soci.
«Ritorno alla mia costruzione dello Stato palestinese. Se ci fosse uno Stato potrebbe dire siamo noi che sovrintendiamo: non essendoci un'autorità, la ricostruzione sarà nelle mani di Trump, che notoriamente è un palazzinaro e quindi sa come si fa. Nelle mani sue e del Qatar e dei grandi speculatori internazionali».